Cooperazione 46/2002 - Incontri
 

Quando è la passione a decidere

Italo Varsalona, pittore-poeta di origini lombarde, è nato innamorato dell'arte, per poi innamorarsi di Lugano. Dal 1995, la città sul Ceresio è diventata la musa ispiratrice dei suoi innumerevoli dipinti «en plein air».

Gabriele Botti

Cooperazione: La chiamano «il pittore di Lugano»: le piace questa definizione?

Italo Varsalona: Certo che mi piace. Come mai ho scelto Lugano? È difficile spiegare una passione, un'emozione irrazionale come amo definire Lugano. Per me è come una bella donna. Lugano attrae ed ha molto da dire: basta guardare con l'occhio di chi vuol vedere. Di Lugano mi attirano gli spazi, la luce, la gente. Di Lugano mi piace il calore e il colore.

Gente e luce: una città senza questi elementi cosa sarebbe?

Poco o nulla. Dietro le mura, sotto i tetti, sulle piazze scorrono delle persone che fanno la personalità di una città. Con le loro storie creano la sua storia. Insomma, è un rapporto di reciproca indispensabilità. Per un artista ci deve essere uno scambio, una comunicazione con chi lo circonda: un artista deve suscitare emozioni immediate, un sorriso...

Che rapporto si instaura tra lei e le sue tele?

Chiamiamola pure passionalità. E poi c'è la componente del ricordo: questa tela mi ricorda una signora che purtroppo non c'è piú, quell'altra l'ho dipinta il primo dell'anno, quell'altra ancora in un pomeriggio di pioggia battente. Si tratta di una specie di diario nel quale riaffiorano i ricordi che riprendono vita senza sforzo. Mi piace anche leggere attraverso le mie opere il cambiamento vissuto dalla gente e dagli spazi che riproduco. Sono sensazioni molto intense.

Lugano è il tema dominante dell'ultimo quinquennio: quali aspetti ha fissato?

Praticamente tutti: la Lugano cittadina, la Lugano lacustre, la Lugano dello sport, la Lugano della gente, la Lugano dei negozi e delle banche e pure quella dei ristoranti o degli angoli tipici. La mia opera, nel suo complesso, è un archivio storico: a volte, quanto ho fissato su tela per sempre, è già scomparso nella realtà, cancellato da un'altra costruzione oppure semplicemente modificato dalle esigenze della modernità. È una corsa contro il tempo.

Pittore storico, insomma: un compito di grande responsabilità...

Un compito ufficioso, per carità, ma che un giorno mi potrebbe anche venire riconosciuto ufficialmente. Come ho accennato prima, sono il testimone dei cambiamenti della città, dalle piccole alle grandi cose. Per me la città è un'entità viva e la considero la mia compagna. Ed è proprio a lei che un giorno spero che le mie tele possano andare.

Solo un sogno oppure c'è di più?

Per adesso è solo un progetto. Vorrei che la città, se lo ritenesse opportuno, organizzasse una mostra. Che non sia Varsalona a farlo, ma lei, la città. Una mostra storica, sociale, di vita.

Ha appena concluso uno dei suoi grandi progetti: ce lo racconti.

Qualche anno fa mi sono posto un obiettivo: dipingere le prime cento facciate di Lugano: palazzi storici, palazzi comuni, banche, negozi, il municipio... Ci sono arrivato e penso sia una primizia mondiale: non credo ci sia un'altra città che sia stata riprodotta su tela in tutte le sue sfaccettature. Ho voluto semplicemente rendere omaggio a Lugano. Adesso si riparte con un'altra sfida: la seconda serie di tele che riprodurrà le facciate di piazza Dante.

Oltre alle capacità tecniche, quali sono le doti che piú si riconosce?

Costanza e volontà.

Ci tracci l'identikit del critico d'arte.

"I veri giudici, quelli piú sinceri, poiché non costruiti e semplici, sono i passanti". Quelli sí che sono giudici attendibili, anche se poi... io considero i quadri come figli, dei figli che parlano da soli attraverso la loro energia. E allora, a questo punto, non occorrono critici o spiegazioni: un dipinto non va spiegato, altrimenti vuol dire che è muto e che chi l'ha prodotto non ha toccato la profondità giusta, non ha colpito il bersaglio. Ovviamente occorre che vi sia qualcuno pronto ad ascoltare.

Quando ha deciso di vivere da artista?

Il disegno l'ho sempre avuto nel sangue: è come se fosse una parte di me, inscindibile da me. Ho dapprima studiato disegno tecnico, per passare poi nel campo della litografia dove ho imparato parecchio. Solo in seguito, quando mi sono reso conto di saperne abbastanza a livello teorico, ho iniziato a dipingere sul serio. Ho frequentato l'atelier di Gian Filippo Usellini, artista lombardo che si innamorò dei miei cieli. Da lí in avanti è stato un crescendo di passionalità nei confronti della pittura: e la cosa va avanti tuttora.

Perché proprio pittore?

È un mistero. È stato un richiamo incontrollabile, un innamoramento. Come spiegare perché ci si innamora?

Lei è «nella» città praticamente tutto l'anno: ne tasta il polso, ne avverte gli umori...

Vuole sapere com'è la gente del nuovo millennio? C'è di tutto: indifferenza, fretta, tanta fretta; ma anche curiosità ingenua ed istintiva. Quella dei bambini è davvero straordinaria. Che esempio! In loro c'è sincerità. Alcuni arrivano da me con le foto dei loro disegni e mi chiedono un giudizio oppure dei consigli: sono momenti che mi riempiono di gioia perché vedo che l'arte è apprezzata. E se si apprezza l'arte, si apprezza anche la contemplazione e la riflessione.

L'arte ha bisogno di essere pubblicizzata, difesa oppure è autosufficiente?

L'arte è inscindibilmente legata alla sensibilità delle persone: per promuovere l'arte bisogna mettere il dito nella ferita e toccare questa sensibilità. Sfiorando dei nervi scoperti si fanno vedere cose che la normalità ci mette sotto il naso ogni istante, ma che non riusciamo piú a vedere. Se si riesce a far scattare questo ingranaggio, l'arte, in qualunque forma si manifesti, non deve temere il pericolo dell'estinzione.

Lei ha l'abitudine di firmare le sue opere in un modo piuttosto particolare.

Ogni dipinto ha un titolo che, a sua volta, deriva da una sensazione. Ne cito qualcuno a memoria: «Ritrovarsi nell'infanzia», «Un ricordo che nasce, un futuro che vive», «Dove l'effimero incontra il serio»: ho allestito un catalogo del vissuto di un uomo che ama la vita e quello che fa.

Amare la vita: cosa significa?

Lavoro rigorosamente all'aperto, sotto il sole, nella pioggia, nel freddo e nella calura. Se non fossi innamorato, pensa davvero che lo farei? Amare la vita significa vivere pienamente appagato la propria condizione di uomo, pittore, bancario, sportivo, falegname, papà, mamma, figlio. Carpe diem...

Vendere, produrre, soddisfare il cliente, scendere a compromessi, avere scadenze precise: l'arte è anche questo?

Io non vendo, è la gente che compra. Io non ho mai fatto e non farò mai nulla per propormi o mercanteggiare: Varsalona non è mai stato in vendita e mai lo sarà. Ogni quadro venduto è un pezzo della mia vita che se ne va.
 

Il ritratto

Età: 61 anni.
Primo quadro: nel 1969 (un albero di prugno selvatico).
Pittore preferito: Gauguin.
Mi dà fastidio: l'indifferenza.
Quadri dipinti: piú di mille.
Il progetto: completare le facciate della città entro il 2006.
Il colore: rosso.
La curiosità: in ogni suo quadro c'è un cagnolino.
L'arte è: un non senso, come l'amore.
La frase: «Non è l'uomo che compra il quadro, ma il quadro che compra l'uomo».